La storia del cioccolato italiano
Addentate una tavoletta, chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare nel mondo dei miti e delle leggende. Siamo in Centro America in una terra ricca di mistero e di alchimia, tra foreste e vestigia millenarie in mezzo a uomini leggendari vissuti e poi dissoltisi nel mito. Qui 3000 anni or sono viveva un popolo, gli Olmechi, che usava i semi di una pianta spontanea, l’albero di kakawa, per ottenere una bevanda amara e fortemente energetica. Secondo una delle leggende il dio Quetzalcoatl (Serpente Piumato), arrivò sulla Terra con un dono per gli uomini, rubato agli dèi: un albero di cacao. Per questo oltraggio venne punito dalle altre divinità: bevve una pozione che lo portò alla pazzia e scomparve nel mistero. Un’altra leggenda narra di una principessa che, lasciata a guardia delle ricchezze dello sposo partito per difendere i confini dell’impero, venne assalita dai nemici che, invano, tentarono di costringerla a rivelare dov’era collocato il tesoro. Per vendetta venne uccisa e dal suo sangue nacque la pianta del cacao, il cui frutto nasconde un tesoro di semi, amari come le sofferenze dell’amore, forti come la virtù, lievemente rossi come il sangue.
Quale che sia la verità la pianta del cacao si ammantava di un’aurea talmente straordinaria che spinse Carl von Linnè, padre della nomenclatura scientifica, ad attribuirle il nome di Theobroma ossia “cibo degli dei”.
Agli albori le civiltà precolombiane pestavano i semi del cacao su un metate (lastra di pietra vulcanica) concava con l’aiuto di un cilindro di pietra, la pasta oleosa ottenuta veniva mischiata con farina di mais e disciolta in acqua con l’aiuto di un frullino di legno. Venivano aggiunte peperoncino e altre spezie come l’annatto che dava un colore rossastro alla bevanda; un gesto benaugurante, come bere il sangue di un nemico.
Furono le suore spagnole nell’isola di Hispanyola (attuale Haiti, Repubblica Dominicana), in occasione della visita di un alto prelato presso il loro convente, ad avere l’illuminazione di aggiungere lo zucchero a questa bevanda fortemente energetica rendendola più piacevole ai palati europei. La canna da zucchero arrivò sulle Antille, molto probabilmente, attraverso la Sicilia dove già nel IX sec. i mercanti arabi, durante la dominazione dell’isola, avevano portato e impiantato la cannamele originaria delle regioni indomalesi.
Nel 1528 Cortéz riporta in Spagna alcune fave di cacao, recandole in dono a Carlo V. Da lì a poco i bramatissimi semi arrivano anche in Italia: in Sicilia – protettorato spagnolo – a Torino, nel 1585 – portati da Caterina, figlia di Filippo II di Spagna, che convola a nozze con Carlo Emanuele I duca di Savoia – e a Firenze, verso il 1650 – grazie a Francesco d’Antonio Carletti, curioso e attento mercante e viaggiatore fiorentino.
La cioccolata zuccherata, consumata in forma liquida, diventa appannaggio delle classi nobiliari. Fu soltanto nel XIX secolo, dopo numerose prove ed esperimenti, che si arrivò alla vagheggiata tavoletta: nel 1802 il genovese Bozzelli ideò una macchina per raffinare la pasta di cacao e miscelarla con zucchero e vaniglia. Ma bisogna aspettare il 1820 perché il sistema venisse messo a punto e si producesse la prima vera tavoletta di cioccolato.
Il marchingegno idraulico – capace di lavorare 300kg di cioccolato al giorno – viene realizzato in Italia dal signor Doret e acquisito immediatamente dalla Caffarel che si associa alla Prochet Gay & C.
Torino grazie alla posizione privilegiata – si trova infatti alla confluenza di quattro importanti corsi d’acqua, fornitori costanti di energia – e grazie al clima economico di cui godeva – benessere sociale e sede del ducato sabaudo, cosa che gli dava la possibilità di accedere più facilmente alle materie prime rispetto agli altri Stati italiani – sviluppa prima una rete artigianale di produzione di cioccolato e poi industriale, diventando indiscutibilmente la capitale del cioccolato.
A Torino si formano confettieri di tutta europa e qui arriva e viene formato anche un ragazzino svizzero tale François-Louis Cailler, padre del cioccolato svizzero, che viene assunto come apprendista alla Caffarel e, dopo aver assorbito tutte le tecniche e carpito ogni segreto della produzione cioccolatiera torinese, torna in Svizzera, a Corsier, e apre il suo laboratorio dando ufficialmente vita al tanto celebrato cioccolato svizzero.
A Modica, probabilmente per la mancanza di una vitalità economica come quella torinese, la storia del cioccolato rimane legata alla produzione ambulante e artigianale: u ciucculataru gira per le case dei nobili siciliani con il suo metate e produce un cioccolato grezzo, granuloso e friabile, in cui i cristalli di zucchero all’interno della pasta di cacao rimangono integri. Oggi a Modica don Luigi Baglieri è l’ultimo cioccolatiere ambulante d’Europa.